Westland

Da Bryce Canyon, la tappa successiva da Moab e dal nostro delizioso motel Cocopelli Lodge, ci porta al parco di Dead Horse, dalle cui alture, le protagoniste Susan Sarandon e Geena Davis chiusero la serie del film Thelma e Louise lanciandosi nel vuoto. La visita del rim é affascinante, a picco sul canyon che ospita lo scorrere del grande fiume Colorado e del Green River, verdi e sabbiosi.
Da Dead Horse la direzione é verso il parco nazionale di Canyonlands, che ci porta lungo un rim a picco sul vuoto per diversi km., con numerose variazioni di colore e di ambientazione naturale.
La prima parte di Canyonlands ricade nella zona nord. Il giorno dopo, partendo da Moab, ci spostiamo verso la parte sud, dove intraprendiamo un trekking di 13 km. lungo lo squaw canyon e big spring canyon, tra rocce a forma di fungo (i needles), e torrenti, passaggi lungo pareti a picco, ruscelli semi secchi e zone esposte al sole. Il grado di difficoltà é abbastanza alto, ma l’arrivo é gratificante.
Da Canyonlands partiamo verso il Parco Nazionale di Mesaverde, aspro e selvaggio, e con numerosi pueblo del popolo Anasazi, incastonati sotto la cengia di una parete rocciosa che si estende lungo il canyon per km. Il sito venne abbandonato dagli Anasazi inspiegabilmente. Il sentiero é irto e difficile, ma di grande bellezza naturalistica ed archeologica.
Dormiamo a Cortez, in uno dei tanti motel che avremo modo di visitare e capire, negli atteggiamenti e nella cultura dell’accoglienza.
Da Mesa Verde, la tappa successiva é la Monument Valley, la terra sacra degli indiani Navajo, la cui area é gestita da questi. Ombre Rosse, il film di John Ford con John Waine, ci appare da subito quando stiamo per arrivare, con le sagome dei monoliti di roccia rossa che si stagliano sulla pianura. Dormiamo in una capanna, ma ci alziamo presto per partire verso la meraviglia dell’Antelope Canyon, probabilmente il fenomeno dovuto all’azione delle acque sulle rocce più incredibile a cui si possa assistere. Si penetra all’interno di una stretta fenditura, tra vortici di colore rosso bruno e porpora, che cambiano di intensità a seconda della luce solare che filtra tra gli anfratti. É il lower Antelope; l’upper Antelope si raggiunge con un pick up, non meno bello, ma talmente intasato di giapponesi e americani da farti preferire irrimediabilmente il lower. Non spiego la difficoltà di rappresentare in fotografia questa meraviglia, perché sprecherei una quantità di parole incredibile.
Da Antelope il mattino dopo partiamo verso il Grand Canyon una delle più grandi e mastodontiche realizzazioni della natura che occhio umano possa osservare. Il salto dal rim é di oltre 1800 metri, ed incute timore al solo camminare sul suo ciglio. É una immensità non descrivibile con una fotografia.
Una tappa di passaggio ci porta a Las Vegas, la città più assurda che si possa incontrare: innanzitutto alloggiamo al 26esimo piano di un grattacielo, e l’uscita verso la strip é una folgorazione fumettistica. Il Bellagio, il Paris, il Venezia, il Luxor, sono ricostruzioni di luoghi famosi fin nei minimi particolari, inondati di slot machine colme di persone di ogni parte d’America e del mondo che tentano la fortuna; come diceva Camus: Gli americani sono un popolo di terremotati mentali. E Las Vegas ce ne dà la prova inoppugnabile.
La fortuna é partire dal tutto verso il nulla, e da Las Vegas ritrovarsi nella Death Valley, in California, in una sensazione di pace che prende il sopravvento sul superfluo. Un deltaplano a motore ci passa sopra la testa nella semi oscurità, come in un film di Kusturica, mentre la musica country del Panamint Spring si diffonde nell’aria.