Nepal
È impossibile descrivere in qualche fotografia la quantità incredibile di sensazioni, di profumi e di colori che racchiude un luogo come il Nepal. La distanza siderale dalla nostra cultura lo rende lontano, incomprensibile ma antropologicamente denso di stranezze non sempre facili da interpretare.
Al nostro arrivo la prima città che esploriamo è Bhaktapur, con la sua splendida Durbar Square ed i suoi templi induisti. Dalla città una trasferimento in autobus ci porta a Chobar dove si trova il tempio induista di Adhinath. Qui un lungo viale con bancarelle e gabbie piene di galli, che vendono anche fiori e tanti altri oggetti, ci portano all’interno del tempio, dove gli animali vengono sacrificati a Vishnu, in un incredibile coacervo di persone, animali, preghiere, lingua nepali. Tutti gli uomini, le donne, i bambini e le bambine hanno la tilaka sulle fronti. La tilaka o red bindi (‘goccia rossa’, per via della forma stilizzata), è legato alle pratiche religiose induiste, preparato con polvere di curcuma rossa o ossido di zinco amalgamati con vaselina. Nel centro della fronte si localizzava, secondo il Tantra, un importante focus di energia.
A Kirtipur visitiamo il Bagh Bhairab Temple, un complesso induista molto bello. Questo luogo è strettamente legato alla storia del Nepal: nel 1768, infatti, Prithvi Narayan Shah, il principe che ha riunificato il paese, tentò l’assalto a Kirtipur; la posizione in cima a una collina e le grosse mura resero l’assedio difficilissimo. Una volta conquistata Kirtipur, quindi, Prithvi Narayan Shah decise di tagliare naso e labbro superiore a tutti gli uomini del villaggio, come punizione per essersi opposti al sovrano. Le spade usate per questo truce rituale campeggiano ancora sul tetto del tempio principale.
Arriviamo a Pokhara percorrendo strade completamente dissestate, impiegando tempi biblici per via dei numerosi lavori conseguenti al distruttivo terremoto del 2015 e alla più recente alluvione di alcuni mesi fa. Quella che troviamo è forse la città più bella del Nepal, cresciuta in maniera disordinata intorno al lago Phewa. Costituisce il punto di accesso verso la catena dell’Himalaya e il circuito dell’Annapurna, che esploreremo a breve. Abbiamo comunque il tempo per visitare alcuni templi induisti e una grande statua di Shiva in cima ad una collina (in verità una statua molto kitsch).
Da Pokhara la nostra prossima meta è stata sui sentieri dell’Annapurna, forse la parte più affascinante del viaggio. Questa infatti ci ha riservato una grande quantità di meravigliose scoperte, la mitezza della sua gente, la cordialità e la difficoltà di vivere a quelle altitudini, sui sentieri più famosi del mondo. Quattro giorni di trekking massacranti sono stati un vero e proprio piacere escursionistico, all’interno di boschi di rododendri, torrenti che scendono a valle dai ghiacciai perenni in sofferenza per i cambiamenti climatici, piccoli villaggi abitati da uomini e donne nepalesi che coltivano riso e verdure, battono miglio, producono miele in bugni simili ai nostri in Sardegna. Questi vengono sospesi sulle pareti delle loro modeste baracche, che sono abitazioni occupate da più persone. I nostri zaini con i bagagli a mano ci vengono trasportati da un rifugio all’altro da portatori che sono ragazzi, e che fanno questo come lavoro principale. In quattro giorni percorriamo 54 km su sentieri costituiti da gradoni infiniti e verticali, che sembravano non finire mai, con oltre 4000 metri di dislivello, una meraviglia con la vista dell’Himalaya sempre davanti ai nostri occhi, che trova il suo culmine l’ultimo giorno quando partiamo alle 5 del mattino per ammirare le vette al sorgere del sole a Poon Hill. Lo spettacolo è incredibile, restiamo in silenzio a guardare le cime del Dhaulagiri (8.167 metri), l’Annapurna I (8.091 metri), l’Annapurna South (7.219 metri), il Machapuchare (6.993 metri), il Nilgiri (7.061 metri), il Hiunchuli (6.441 metri). Scesi al lodge per fare la colazione, altri 12 km di trekking ci riportano a Nayapul e poi a Pokhara in autobus.
Da Pokhara scendiamo a sud, ancora su strade simili a voragini, e arriviamo nell’area protetta di Chitwan per vedere da vicino il raro coccodrillo indiano e il rinoceronte. Nelle città di Patan e Kathmandu un traffico infernale che si auto regolamenta senza che riusciamo a capire come sia possibile ci riporta nel mondo ipoteticamente moderno. L’odore dello smog che ti attanaglia la gola, l’indicibile povertà ad ogni angolo di strada, il suono dei clacson delle migliaia e migliaia di moto e motorini che ti sfiorano, i grovigli di fili elettrici che ricordano il Sudamerica, tanto, troppo si somma di continuo agli occhi di chi viaggia in questo paese. Oggi, al tempio di Pashupatinath questa somma deflagra e si riallinea all’incredibile cultura di questo luogo: numerose salme vengono cremate all’aperto su pile di legna accatastata con migliaia di persone che assistono, in un considerare la vita e la morte come un processo di sintesi di una consuetudine che non ci appartiene, ma che ti lascia un senso di pace interiore.
Kathmandu è una città incredibile, che ha subito molti danni dal terremoto del 2015, ma che resta sempre vitale e con numerosi angoli nascosti da scoprire, templi induisti e buddisti che convivono pacificamente e diversi gruppi etnici distribuiti su tutto il territorio del Nepal: i Taru, i Tamang, i Newar, una piccola presenza musulmana.
Meraviglia Nepal, grazie per averci accolti ❤️

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